Laura Li - Ultradandies

Un’immersione nei colori psichedelici di un mondo al limite tra l’onirico e lo psichico, voluttuose tracce di nero china che delineano avvenimenti di un’altra dimensione, distopica ma anche ammaliante. Questo è Ultradandies di Laura De Luca, in arte Laura Li, “illustratrice e investigatrice della psiche, viaggiatrice di mondi reali e paralleli”, come ama definirsi, con la quale ho avuto il piacere di scambiare una chiacchierata virtuale a proposito della sua opera.

Laura, che cos’è Ultradandies?
Ultradandies è un progetto artistico-letterario che unisce scrittura e disegno, mescola differenti tecniche artistiche (stile figurativo e astratto, fumetto, fotografia, grafica digitale) e influenze provenienti da cinema e letteratura fantastica, e sotto la metafora delle avventure dei personaggi vuole trasmettere la speranza di un progresso di coscienza per l’umanità.

Qual è la trama della storia?
Dopo un efferato conflitto e trasformazioni tecno-biologiche, il mondo si è diviso in Dimensioni. Sovrani dispotici e assoluti ne sono gli Dèi, imperituri e incorporei, padroni di tutta la più elevata conoscenza, che possono rendere la vita più o meno tollerabile a seconda del livello di devozione loro offerto.
I tre personaggi protagonisti sono Chei, Tanit e Pola, creature angeliche e crudeli, poetiche e medianiche, discendenti di un’antica casta di maghi scienziati sterminati dagli Dèi durante le faide per la presa del potere. Chei è un artista scienziato con uno stile di vita che rammenta Oscar Wilde, Pola è la più trasgressiva e ama agire al di fuori dalla legge, Tanit è attratta da tutto ciò che è bizzarro, sensuale e ai limiti del razionale.
Relegati nell’oblio nella decadente terra di Amenti, asilo di sbandati ed emarginati, essi sopravvivono come contestatori e fuorilegge, osando opporsi alla politica della Quinta Dimensione. Tuttavia, il tempo li ha resi ormai abulici per la privazione di ogni orizzonte, immobilizzati in una realtà di espedienti, traffici illeciti, estraniamento. Sarà l’arrivo di un tondo viaggiatore dello spazio, un alieno filosofo e ricercatore, che saprà spingere i tre a rivoluzionare completamente le loro esistenze.

Da dove nasce l’idea?
L’idea è nata da un sogno reale che ho poi trascritto, una fiaba nera dove un uomo e due donne si risvegliano da un lungo sonno e fuggono da un tiranno che li ha imprigionati in un mondo parallelo oscuro e claustrofobico, e per mantenere la loro libertà i tre devono scrivere un racconto ogni giorno.

Dei tuoi disegni mi piace molto sia la linea morbida che scivola quasi senza soluzione di continuità sulla tavola dando vita alle forme, sia l’accostamento del bianco/nero a colori molto accesi. Come definiresti il tuo stile?
Il mio stile è una fusione di innumerevoli ispirazioni, dalla grafica giapponese a quella psichedelica, da Tamara De Lempicka, al mondo della moda, al dandysmo.
Mi stimola molto la contemporaneità, la mescolanza di linguaggi dis-continui, a-logici, cogliere come un’antenna informazioni e messaggi da tutto il mondo, stratificazioni in evoluzione.

Perché una scenografia fantastica?
È stata una scelta istintiva: la fantascienza e il gotico sono le mie prime letture. Fin da bambina, infatti, mi perdevo nei fumetti anni ’70 di mio padre (Flash Gordon, Mandrake, Valentina, Corto Maltese). In seguito le mie letture si sono orientate tanto al fantastico che ai fondamentali Edgar A. Poe, Franz Kafka, Jorge Borges, William Burroughs.
Le ambientazioni di Ultradandies, comunque, sono più che altro suggerite: descrivo un mondo fluido, onirico, frutto di uno stato mentale. Violenza e sesso esplicito sono banditi; aveva senso darne rilievo nel passato per infrangere i tabù e sfidare una morale ipocrita, mente adesso è diventato piuttosto un cliché commerciale.

Nel tuo lavoro parli di tecnologia combinata a magia. Lo scrittore Arthur C. Clarke sostenne che “ogni tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia”. Cosa ne pensi?
In Ultradandies non si tratta di tecnologia nel senso comune, poiché si sfrutta il potenziale psichico dei personaggi, il paranormale, i flussi energetici. Ultradandies è, per citare William Gibson, è “un’avventura di viaggio direttamente collegata al sistema nervoso”.
La frase di Clarke è più che mai profetica; ad esempio si pensi al Junk DNA: DNA non codificante la cui frequenza, ovvero la stessa informazione genetica, sarebbe influenzabile tramite raggi laser opportunamente regolati. Questo richiama i Veda, il pensiero esoterico del Logos, le guarigioni miracolose…

Charles Baudelaire assimilava la natura (il mondo, generalizzando) a “foreste di simboli”. Anche nel tuo lavoro la simbologia non manca. Ritieni che sia importante per l’uomo riuscire a scoprire i simboli dai quali è circondato?
Il simbolo mi ha sempre affascinato, l’albero della vita era una delle mie ossessioni. È un mezzo potentissimo: il glifo che ci permette la sintesi, la comunicazione con aspetti del subcosciente altrimenti sigillati.

Uno dei messaggi che hai voluto trasmettere è la necessità di rivoluzionare il proprio io per sperare in un progresso di coscienza per l’umanità. Secondo te è possibile nella nostra realtà?
Me lo auguro! Il tema cruciale degli Ultradandies è il viaggio, psichico e reale, e vuole spronare ad aprire le porte all’immaginazione, al cambiamento, ad uscire dalla mediocrità. Le persone sono condizionate dall’immobilità di pensiero e di azione, si rinchiudono nella routine nella speranza di arrestare il tempo nell’illusione di averne chissà quanto a disposizione. In Italia domina una sorta di catalessi e rassegnazione, in questo senso, ma io non ci sto e nel mio piccolo combatto da sempre la mia battaglia.

È disponibile per ora solo un’anteprima di Ultradandies. Dove e quando si potrà acquistare l’opera completa?
Per adesso sono alla ricerca di un editore, è un prodotto non facilmente catalogabile ma ha un suo potenziale commerciale e quindi sono ottimista.

Altri progetti?
Al momento sono impegnata in un progetto in Marocco, dove sto costruendo una casa-laboratorio per artisti e creativi di tutto il mondo (un piccolo anticipo sarà il progetto Marocco Club).
Il viaggio degli Ultradandies però prosegue, verso un nuovo mondo, dove il rapporto fra immagine e parola sarà ancora più magico.

Laura Li - Ultradandies

Prendo in prestito per il titolo un passaggio enigmatico/emblematico di e.e. cummings (tratto dalla poesia LIX, W [ViVa], 1931), già adottato come epigrafe da Danilo Santoni per un suo intervento su Intercom incentrato su Ghost in the Shell, associandolo nuovamente a un contesto fantascientifico. Il passaggio  riporta testualmente:

[…]
what neither is any 
echo of dream nor 
any flowering of any 

echo(but the echo
of the flower of

Dreaming)

ed è una trappola psichica congegnata nella sintesi perfetta ed estasiante di un ritmo trasognato e di una ridondanza evocativa. Mi è tornato alla memoria aprendo lo splendido numero di NeXT uscito lo scorso novembre, un numero per molti versi speciale, concepito per festeggiare l’affermazione al Premio Italia 2011. L’Iterazione 16 racchiude ben due articoli dedicati al sogno: in Fotogrammi da sogno, apparso nella rubrica ExcellBlack M prende le mosse da Inception per tracciare una dettagliata e documentatissima panoramica dei precursori di Christopher Nolan, passando in rassegna un campionario di pellicole incentrate sulle pericolose ma seducenti lande oniriche dell’immaginario; dal canto suo Nimiel riprende il tema del sogno lucido per la puntata della sua rubrica La mattinata dei maghi, dedicata a L’onironauta.

Difficile non concordare con Mario Gazzola/Black M sull’importanza del capolavoro di Nolan nel panorama del cinema di questo scorcio d’inizio secolo. Come ho già avuto modo di sostenere, Inception è un’esaltazione di un aspetto della fantascienza riconducibile alle teorizzazioni di J.G. Ballard, di cui traduce in immagini per il grande schermo le folgoranti intuizioni sull’inner space della psiche umana. La reiterazione del classico mito della discesa orfica nel regno dei morti è interamente giocata sulla sfida definitiva di Dom Cobb (Leonardo DiCaprio), sognatore e spia professionista, alle prese con un complesso di colpa che si è inutilmente sforzato di relegare negli strati inferiori del proprio subconscio. Nel suo atteggiamento riverbera un passaggio dello struggente racconto di fantascienza di Roger ZelaznyUna rosa per l’Ecclesiaste (A Rose for Ecclesiastes, 1963):

E di notte l’ascensore del tempo mi conduceva ai suoi piani più bassi…

Sempre Zelazny, nel 1966 (Signore dei sogni, The Dream Master, romanzo tratto dalla novella He Who Shapes, del ’65), ci avrebbe portati a conoscere il decadente mondo futuro dei neuropartecipazionisti, psichiatri in grado di portare allo scoperto il rimosso dei pazienti agendo grazie all’arte della Formazione sulla loro sfera emotiva, plasmandone i sogni mediante il più immediato dei linguaggi di comunicazione: l’immagine.

Tornando a Inception, il percorso di Cobb si distanzia in maniera simbolica da quello che si prefigge la disciplina dell’onironautica. Inseguito dalla sua nemesi privata nei labirinti del sogno high tech, tra test di realtà e livelli di simulazione annidati degni delle più sadiche visioni cosmologiche di Philip K. Dick, il protagonista di Nolan non persegue un intento di illuminazione attraverso la lucida padronanza delle dinamiche oniriche, ma si accontenta di un’illusione condivisa con i suoi compagni d’avventura. Il che può essere anche letto come un messaggio di comunione e resistenza, nei nostri tempi così critici.