Prendo in prestito per il titolo un passaggio enigmatico/emblematico di e.e. cummings (tratto dalla poesia LIX, W [ViVa], 1931), già adottato come epigrafe da Danilo Santoni per un suo intervento su Intercom incentrato su Ghost in the Shell, associandolo nuovamente a un contesto fantascientifico. Il passaggio riporta testualmente:
[…]
what neither is any
echo of dream nor
any flowering of anyecho(but the echo
of the flower ofDreaming)
ed è una trappola psichica congegnata nella sintesi perfetta ed estasiante di un ritmo trasognato e di una ridondanza evocativa. Mi è tornato alla memoria aprendo lo splendido numero di NeXT uscito lo scorso novembre, un numero per molti versi speciale, concepito per festeggiare l’affermazione al Premio Italia 2011. L’Iterazione 16 racchiude ben due articoli dedicati al sogno: in Fotogrammi da sogno, apparso nella rubrica Excell, Black M prende le mosse da Inception per tracciare una dettagliata e documentatissima panoramica dei precursori di Christopher Nolan, passando in rassegna un campionario di pellicole incentrate sulle pericolose ma seducenti lande oniriche dell’immaginario; dal canto suo Nimiel riprende il tema del sogno lucido per la puntata della sua rubrica La mattinata dei maghi, dedicata a L’onironauta.
Difficile non concordare con Mario Gazzola/Black M sull’importanza del capolavoro di Nolan nel panorama del cinema di questo scorcio d’inizio secolo. Come ho già avuto modo di sostenere, Inception è un’esaltazione di un aspetto della fantascienza riconducibile alle teorizzazioni di J.G. Ballard, di cui traduce in immagini per il grande schermo le folgoranti intuizioni sull’inner space della psiche umana. La reiterazione del classico mito della discesa orfica nel regno dei morti è interamente giocata sulla sfida definitiva di Dom Cobb (Leonardo DiCaprio), sognatore e spia professionista, alle prese con un complesso di colpa che si è inutilmente sforzato di relegare negli strati inferiori del proprio subconscio. Nel suo atteggiamento riverbera un passaggio dello struggente racconto di fantascienza di Roger Zelazny, Una rosa per l’Ecclesiaste (A Rose for Ecclesiastes, 1963):
E di notte l’ascensore del tempo mi conduceva ai suoi piani più bassi…
Sempre Zelazny, nel 1966 (Signore dei sogni, The Dream Master, romanzo tratto dalla novella He Who Shapes, del ’65), ci avrebbe portati a conoscere il decadente mondo futuro dei neuropartecipazionisti, psichiatri in grado di portare allo scoperto il rimosso dei pazienti agendo grazie all’arte della Formazione sulla loro sfera emotiva, plasmandone i sogni mediante il più immediato dei linguaggi di comunicazione: l’immagine.
Tornando a Inception, il percorso di Cobb si distanzia in maniera simbolica da quello che si prefigge la disciplina dell’onironautica. Inseguito dalla sua nemesi privata nei labirinti del sogno high tech, tra test di realtà e livelli di simulazione annidati degni delle più sadiche visioni cosmologiche di Philip K. Dick, il protagonista di Nolan non persegue un intento di illuminazione attraverso la lucida padronanza delle dinamiche oniriche, ma si accontenta di un’illusione condivisa con i suoi compagni d’avventura. Il che può essere anche letto come un messaggio di comunione e resistenza, nei nostri tempi così critici.