Vincitore agli Oscar 2011 dell’Academy Award for Animated Short Film, The Lost Thing è un cortometraggio d’animazione della durata di quindici minuti, diretto da Andrew Ruhemann e Shaun Tan, narrato dalla voce di Tim Minchin.

Shaun Tan, già noto e pluripremiato a livello internazionale, è un narratore sorprendente, capace di catturare l’attenzione grazie al suo variegato immaginario e al lirismo delle sue storie. Protagonista del cortometraggio è un ragazzo solitario e introverso, instancabile collezionista di tappi di bottiglia. Un giorno, mentre si sta dedicando a questo hobby sulla spiaggia, si imbatte in una creatura singolare, una specie di teiera-granchio. Resosi conto che essa si è perduta, abbandonata tra l’indifferenza di tutti, cerca di scoprire a chi appartenga e di ritrovare la sua casa.

L’ambientazione ricreata da Tan è volutamente inquietante: decadenti edifici di cemento sui quali si arrampicano tubi arrugginiti, una città statica e sprofondata, come in alcuni dipinti di Edward Hopper, in una sorta di apatia, di noia post-industriale. Anche i suoi abitanti sono affini al mondo autistico che popolano, completamente assorbiti in se stessi, nelle proprie abitudini rituali e in una vita desolata e incolore, tanto che nemmeno notano la creatura e non vogliono a nessun costo interrompere la routine per aiutarla. Nel disinteresse generale e ostacolato da una burocrazia kafkiana, solo il giovane, commosso dall’infelicità di questo curioso essere, se ne prende cura.

A tratti struggente, a tratti gioioso, questo corto seduce con una grafica fiabesca ed è sorretto da un solido costrutto di progettazione, animazione, suono e musica. Contraddistinguendosi per eleganza e semplicità, dipinge un mondo surreale che fonde il quotidiano, l’insolito e il bizzarro. La storia è speciale non solo per l’impianto grafico-narrativo, ma poiché invita a guardare il mondo con occhi diversi, per accorgerci di quanto ci circonda e recuperare la fiducia nel valore della bontà. Il concetto di cosa perduta, inoltre, ha una sottile venatura filosofica: può essere simbolo della natura, dell’innocenza, oppure il dilemma di aver smarrito se stessi o la propria parte più umana; sono molte le interpretazioni possibili.

Abile a governare l’incantesimo che lega immagine e parola (“io uso il testo come malta tra le piastrelle delle figure: il testo è un tessuto connettivo tra le immagini che raccontano la storia”), la visione di Shaun Tan è peculiare e vuole trasmette significati profondi soprattutto tramite l’emozione e l’empatia. In tal senso, rammentando una citazione di Neil Gaiman (“He had gone beyond the world of metaphor and simile into the place of things that are, and it was changing him”) e leggendo un’intervista congiunta pubblicata poco tempo fa sul Guardian, ho ravvisato che le analogie tra questi due autori e la loro poetica non sono poche.

In The Lost Thing, così come in alcuni testi gaimaniani (si pensi a Neverwhere e Stardust, solo per citarne un paio), l’impianto fantastico è strumento ed espediente fondamentale per veicolare un messaggio di valenza universale. Altri punti di contatto sono, ad esempio, la staticità e grettezza in cui sprofonda il quotidiano, l’attenzione ai particolari apparentemente insignificanti ma dietro ai quali si celano meraviglie e altre dimensioni, il superamento dell’egoismo, del disinteresse, delle proprie ristrette vedute, l’emozione e l’empatia che risvegliano l’io. Fattore fondamentale è, in primis, la curiosità, quale capacità di gettare uno sguardo profondo e diverso sul mondo, vederne e valutarne le sfaccettature. Solo grazie alla curiosità, cui è strettamente legato il desiderio di arricchimento interiore, è possibile superare l’indifferenza e riuscire finalmente a vedere davvero. In secondo luogo, centrale è il ruolo dell’emozione, che, intesa anche in senso etimologico (e-moveo) si ricollega direttamente all’empatia. Essere in grado di provare empatia spinge a mettersi in gioco, ad andare oltre il sé: se l’individualismo è fondamentale per coltivare se stessi, rendersi individui e non massa, l’empatia è la summa in cui convergono curiosità ed emozione, nonché uno degli strumenti fondamentali concessi all’essere umano per salvare se stesso e compiere un salto evolutivo di consapevolezza.

Questo assunto non è soltanto mera speculazione. La teoria dei neuroni specchio, di recente tornata in voga a seguito dell’uscita del film L’alba del pianeta delle scimmie, il cui lancio è stato accompagnato anche da approfondimenti (questo ne è un esempio interessante) a cura di uno dei maggiori studiosi odierni, il primatolgo Frans De Waal, consente un nuovo approccio agli schemi relazionali tra esseri umani, punto fondamentale dei quali sarebbe proprio l’empatia (ben diversa dall’altruismo), pur legata al restante complesso sistema emozionale umano. Un nuovo metodo di studio per una gamma eterogenea di discipline, quindi, che beneficia dell’apporto delle tesi della fisica quantistica e delle teorie delle complessità, le quali si sono rivelate particolarmente proficue nello studio dell’interazione dinamica degli organismi viventi. L’empatia, anche scientificamente, corrisponderebbe all’accettazione della sfida diretta a superare i limiti del singolo, a sviluppare conoscenze innovative e creative non solo per i propri fini. A lungo termine essa potrebbe incentivare il rinnovamento dalla declinante società meccanicistica e iper-capitalistica verso una società ventura empaticamente partecipata.

E, sotto forma di fiaba immaginifica e affascinante, congiuntamente all’aforisma “today is the tomorrow you expected yesterday”, Shaun Tan ci indica l’inizio di un simile percorso.